Giambattista Boldrini racconta i drammatici anni della guerra agli alunni dell’ITCG "G. Antinori” di Matelica
L'ex deportato matelicese Giambattista Boldrini, classe 1926, protagonista dell’incontro organizzato dall'ITC Antinori con la sezione locale dell'Anpi, per non dimenticare la tragedia della guerra e delle violenze nazifasciste.
L'anziano, affiancato dallo storico Igino Colonnelli, ha saputo raccontare e coinvolgere i giovani studenti nella ricostruzione di quei drammatici anni, dal maggio del 1944, quando fu catturato nel corso di un rastrellamento a Matelica. L'allora diciottenne Boldrini iniziò una lunga odissea, che lo portò prima a Sforzacosta da dove venne tradotto a Firenze e a Bizzarra, vicino Mantova. "A me e ad altri matelicesi chiesero di diventare collaborazionisti, ma non accettammo e fu così che mi trovai caricato su un carro per il bestiame e trasferito a Innsbruck e poi a Monaco, per lavorare in un'industria militare tedesca in Turingia, vicino Kalha, in un cantiere dove dovevo costruire abitazioni per circa 15-20mila persone, che ritenevano necessarie per realizzare un’arma segreta, che avrebbe permesso alla Germania di vincere la guerra". Commosso ha ricordato la vita nel campo di lavoro, la fatica, la stanchezza, la paura, le crudeltà subite, e il misero pasto a cui abituarsi: “Eravamo come macchine create per lavorare, ma prive del carburante necessario. Eravamo destinati a crollare. Noi deportati volevamo solo salvarci. Durante l’inverno anche i nostri connazionali iniziarono a morire: il freddo, il lavoro durissimo e le razioni sempre più scarse riducevano gli uomini giovani e forti a scheletri avviliti, umiliati e affamati.” Dopo che il campo e i deportati furono liberati dagli americani, Giambattista, insieme ad altri compagni, trascorse un periodo in Cecoslovacchia, accolto con grande premura da una famiglia di contadini. Dopo varie vicissitudini, riuscì a tornare in Italia nel luglio del ’45. La notizia della morte del padre, rese il suo ritorno più amaro e tragico, il suo ricordo è ancora lucido e commovente: “le mie speranze e la mia euforia furono cancellate da poche parole. La mia felicità appena riconquistata mi sembrò già scomparsa. L’uomo che avevo lasciato in lacrime a Sforzacosta non c’era più. Lui mi aveva insegnato tutto, ciò che mi era servito a sopravvivere nel campo. Lui mi aveva aiutato a crescere nei momenti più importanti”. I ragazzi, emotivamente colpiti, lo hanno applaudito con grande riconoscenza, per due ore non si sono distratti, hanno assaporato le parole, gli aneddoti, l’esperienza di una vita “straordinaria” che a stento, al suo ritorno, i suoi familiari facevano fatica a credere vera. Il valore della “Memoria” è inestimabile. Per i giovani alunni avere la possibilità di confrontarsi con un testimone della guerra e delle violenze nazifasciste è stata un’occasione di riflessione sui veri valori dell’umanità. Gli occhi così espressivi di Giambattista hanno trasmesso il suo amore per la famiglia, la dignità di un uomo perbene, il valore del lavoro anche sotto forzatura, la solidarietà per i prigionieri stranieri, la fraternità con i sui concittadini, l’attaccamento alla vita per la sopravvivenza, sentimenti ancora vivi che lo hanno aiutato sia a superare la disumanità della deportazione sia ad avere la forza di non dimenticare: “Ora penso che sia importante che i giovani sappiano e ricordino l’orrore di non tanto tempo fa”.
Si ringrazia lo storico locale prof. Igino Colonnelli per aver presentato e contestualizzato storicamente gli eventi narrati, e moderato, con saggia esperienza, l’intervento di Giambattista Boldrini.